Piccola premessa: Vorrei dare, oggi che – non so se per far piacere ai Petrolieri o a qualche gruppo di industriali – si parla quasi esclusivamente di plastiche, qualche piccola informazione sullo stato reale dell’inquinamento del Mediterraneo.
Ovviamente io non ho nessun database in argomento, e le mie informazioni risalgono a quelle che son riuscito a qua e la raccogliere quando una venti cinquina di anni fa ho scritto un libro in argomento.
Siccome però i volumi dei dati saranno in questi venticinque anni sicuramente peggiorati (non rischio, insomma, di sbagliare per eccesso), ed io voglio solo dare al mio cortese Lettore un’idea approssimata di quello che realmente è oggi l’inquinamento del Mediterraneo, mi attacco al copia-incolla e copio:
“Come dimostrano misurazioni e ricerche effettuate da diversi ricercatori e dall’Università di Urbino in particolare, già nel 1985 (quando, cioè, la Haven non era ancora esplosa [il disastro della Haven è del 1991]) il Mediterraneo era il mare più inquinato del mondo per densità di catrame pelagico (38 mg/m³, contro i 10 del Mar dei Sargassi, i 3,8 del sistema Giapponese, lo 0,8 del Golfo del Messico, ed il <0,01 del Pacifico Sud-Occidentale)[1] e per concentrazione di idrocarburi clorinati (misurata in mg/kg di peso del pesce) rinvenuti in pesci della stessa specie ma rispettivamente pescati nel Mediterraneo e nell’Atlantico (4200 mg/kg di policlorobifenili, 115 di DDT e 28 di esaclorocicloesani nell’Alcardus pescato in Mediterraneo, contro, rispettivamente, i 320, l’1 e lo 0 rinvenuti nell’Alcardus pescato in Atlantico, ed i 620, 490 e 28 rinvenuti nella Sardinia pescata in Mediterraneo, contro i 230, 90 e 3 nella Sardinia pescata in Atlantico).[2]
“Ma i risultati delle sopra riportate analisi non sorprendono ed appaiono, anzi, addirittura confortanti se solo si pensa che per il Mediterraneo, mare praticamente chiuso e con estensione pari a solo lo 0,7% della superficie complessiva dei mari della Terra, ogni giorno transita più del 30% degli idrocarburi complessivamente prodotti in tutto il mondo.
“Nel Mediterraneo, infatti, autentica ‘clearing house’ mondiale del petrolio, sboccano[3]:
v L’oleodotto egiziano del Sumed, lungo 230 km, con capacità di trasporto di 1,6 milioni di barili/giorno;
v L’oleodotto Kirkuk-Banias/Tripoli, chiuso nel 1982, ma in grado di prestare una capacità di 1,2 milioni di barili/giorno;
v L’oleodotto Balman-Ceyhan-Dortyol, costruito nel 1977, lungo 920 km, con capacità di 1,7 milioni di barili/giorno;
v un oleodotto parallelo al precedente ma proveniente dall’Irak, costruito nel 1984 ed entrato in servizio nel 1987 con una capacità di 500 mila barili/giorno, con ampliamento fino a 1 milione di barili/giorno;
v L’oleodotto Saudita Abquaiq-Yanbu sul Mar Rosso (Petroline), lungo 1.200 km, con capacità di 3.2 milioni di barili/giorno, con espansione fino a 5 milioni;
v L’oleodotto Ipsa-1, con origine a Zubail, con capacità di 1,6 milioni di barili/giorno e del quale è prevista una espansione con Ipsa-2.
“Lungo le sponde orientali del Mediterraneo sbocca, insomma, un complesso integrato di oleodotti in grado di trasportare non meno di 6,5-7 milioni di barili di greggio al giorno.
“E non è neppure tutto qui! In Mediterraneo, infatti, oltre al petrolio di provenienza mediorientale, giunge pure il petrolio libico e quello di provenienza extra-mediterranea (Nigeria e Venezuela), e poi ancora, passando per il Bosforo, il petrolio russo, quello rumeno e quello azgerbaijano (circa 1/5 di quello mediorientale, secondo elaborazioni Agip). Dati (tutti di fonte ufficiale), questi, che rendono non solo credibili, ma addirittura ottimistici i ‘soli’ 7.249 MILIONI i barili di petrolio che, secondo una valutazione Agip del 1988, di media OGNI GIORNO entrano in Mediterraneo.
“Se poi, valutando molto conservativamente in soli tre giorni la durata media di navigazione delle petroliere in Mediterraneo[4], moltiplichiamo questo molto prudenziale dato AGIP per tre, se cioè, aiutati da un qualche sveglio bimbetto della terza elementare facciamo:
7.249 x 3 = 21.747
finalmente ci accorgiamo (con scarsa soddisfazione, credo, del bimbetto che in questo sporco mondo deve viverci ancora tutta la sua vita) che in Mediterraneo ogni giorno galleggiano, allegramente trasportati di qua e di là da una miriade di veterocarrette dei sette mari, non meno di ventunomilioni e settecentoquarantasettemila barili di petrolio. Che cioè, proprio adesso, mentre tranquillamente seduti (immagino) in una qualche poltrona o semplicemente sorretti ad altro idoneo supporto (per es. ad un mancorrente della metropolitana) leggiamo questo libro, in Mediterraneo galleggiano non meno di 21.747 barili di greggio.
“E se poi a tutto questo si aggiunge
a) che, coi Paesi balcanici, l’Italia è l’unico Paese europeo esclusivamente bagnato dal Mediterraneo;
b) che, secondo l’Oil and Gas Journal del 25 dicembre 1989, l’Italia è il Paese che ha la maggior capacità di distillazione dell’intero sistema Mediterraneo (2.804 milioni di barili/giorno, contro i 2.302 della Germania, gli 1.820 della Francia e gli 1.293 della Spagna);
c) che attraverso i grandi oleodotti transalpini CEL e TAL (e, quindi, da Genova a Trieste) è movimentata anche gran parte del greggio destinato a Svizzera, Germania ed Austria;
d) che a non molta distanza dalle coste italiane il terminale di Marsiglia e l’oleodotto Marsiglia-Carling movimentano enormi quantità di greggi;
e) e che, secondo dati dell’Unione Petrolifera, nel solo 1989 nei porti italiani sono arrivate 99.100.000 tonnellate di greggio (cioè quasi 1/10 della produzione petrolifera mondiale), cui, per avere una stima più precisa degli idrocarburi complessivamente movimentati lungo le nostre coste, andrebbero aggiunti i ‘bianchi’ e i ‘neri’ (i prodotti venuti fuori insomma, dalla distillazione del greggio: benzina, nafta, catrame, asfalti, ecc.) successivamente trasportati via mare verso i luoghi di utilizzo o distribuzione (centrali elettriche e depositi costieri),
“si capisce bene com’è che l’inquinamento del Mediterraneo abbia potuto assumere le forme e le dimensioni che abbiamo appena documentato, e perché i proff. Ugo Bilardo e Giuseppe Mureddu[5] hanno definito il rischio petrolifero del sistema Italia «una certezza statistica».
“Se poi vogliamo una stima “più scientifica” dello stato attuale dell’inquinamento del Mediterraneo, cito ancora i proff. Bilardo e Mureddu[6]:
«Per quanto riguarda le perdite di greggio dovute a incidenti occorsi alle petroliere, nel bacino mediterraneo è stato immesso mediamente, negli ultimi 5 lustri, il 6,6% dei versamenti mondiali annui; se si prendono come riferimento i dati assoluti annui mondiali, una percentuale del 6,6% corrisponde grosso modo a 20.000-33.000 T di greggio l’anno. Utilizzando i parametri dell’incidenza dei trasporti marittimi sul totale dell’inquinamento petrolifero (tale incidenza oscilla tra il 14% e il 6,6%), una stima molto approssimativa e elastica degli oil spills complessivi nel Mediterraneo, può oscillare tra le 30.000 e le 236.000 T. annue: riferendoci ad un coefficiente intermedio abbastanza attendibile (43% dell’Accademia delle Scienze Americana), il ventaglio andrebbe dalle 47.000 alle 77.000 T. annue. Stime effettuate da altri autori si riferiscono a valori molto più elevati. Ce n’è abbastanza per essere allarmati: è come se ogni anno si verificasse nel Mediterraneo un incidente di proporzioni disastrose, anche se per così dire ‘diluito’ in tutto il bacino.»
[1] F. Gianni, “Behaviour of Hydrocarbous Spill into the Sea and the Effects on Marine Environment. Hydrocarbon Determination at Sea – in “Control and Combating of Oil Pollution in Mediterranean”, Urbino 1985.
[2] B. Cescon, The Mediterranean Sea: Chemical and Phisical Characteristics – in Control and combating … (citato da U. Bilardo, G. Mureddu).
[3] U. Biliardo, G. Mureddu, Traffico Petroliero nel Mediterraneo
[4] Non mi sembra immotivato o arbitrario assumere questo come tempo medio di navigazione delle petroliere in Mediterraneo, se si considera che la velocità media di esercizio di una petroliera è di 13 nodi (che moltiplicati prima per 3 e poi per 24 danno una percorrenza di 936 miglia) e che la lunghezza di una rotta in Mediterraneo può variare dalle 2200 miglia di una Sidone-Gibilterra, alle 800 di una Suez-Venezia ed alle circa 300 di una Tripoli-Augusta.
[5] Ugo Bilardo è professore ordinario di Ingegneria dei Giacimenti di Idrocarburi ed insegna anche Produzione e Trasporto di olio e gaspresso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma ‘La Sapienza’, dove Giuseppe Mureddu insegna Istituzioni di Economia presso la facoltà di Ingegneria e Politica Economica presso la facoltà di Scienze Statistiche.
I professori Bilardo e Mureddu sono anche membri di numerose Istituzioni scientifiche internazionali e consulenti attivi del Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS), per il quale hanno, fra l’altro, scritto: Scenari di crisi dell’approvvigionamento energetico nel Mediterraneo: dai problemi della sicurezza economica alle implicazioni politico-militari e sono anche autori di numerose pubblicazioni sull’economia delle materie prime e sulle strategie e le interazioni fra la produzione e il trasporto del petrolio e l’ambiente, fra le quali il fondamentale Traffico petrolifero nel Mediterraneo, aspetti ambientali e implicazioni economiche, pubblicato a Roma nel 1991 e nel 1992 dall’Unione Petrolifera, e Le maree nere nel Mediterraneo – Rischio ambientale, implicazioni economiche e possibile ruolo della cooperazione regionale, ISPI, Milano, 1990.
[6] U. Bilardo, G. Mureddu: Scenari di crisi dell’approvvigionamento energetico nel Mediterraneo: dai problemi di sicurezza alle implicazioni politico-militari, GeMiSS, Rivista Militare, Roma, ottobre 1993 (pag. 183, nota). V. anche: U. Bilardo, G. Mureddu, Le maree nere nel Mediterraneo – Rischio ambientale, implicazioni economiche e possibile ruolo della cooperazione regionale, ISPI, Milano, 1990.