Adriatico e inquinamento: le implicazioni economiche

Mare_Adriatico_inquinamentoPenso di dover approfondire un po’ quello che ho scritto nei precedenti post. Ed allora semplicemente copio qui quello che al proposito di inquinamenti del mare da idrocarburi e conseguenti danni ho scritto nel mio libro, di prossima uscita, Armi, Petrolio e Potere. (Scusate se mi cito.)

Copio:

“Basta molto poco, bastano solo pochi dati statistici e pochissime moltiplicazioni per accorgerci che quello che gli esperti chiamano il ‘danno eventuale’ di un incidente petroliero può facilmente raggiungere, tradotto in termini economici ed ambientali, vette astronomiche.

“Basta ricordare che esistono gli strumenti matematici che DIMOSTRANO che un inquinamento petroliero di vaste proporzioni in Adriatico, mare praticamente chiuso all’interno di un altro mare, il Mediterraneo, praticamente chiuso, potrebbe causarne la morte definitiva.

“Basta ricordare che esistono i dati di laboratorio che DIMOSTRANO che l’Adriatico (mare che, secondo modelli matematici e dati sperimentali affidabili, riceve un ricambio completo d’acqua dal Mediterraneo ogni 75 o 100 anni) non ha la capacità di ‘digerire’, non ha, cioè, l’ossigeno ed i batteri specifici sufficienti per ossidare o metabolizzare gli idrocarburi che potrebbero essere scaricati in mare da una petroliera come la Haven o da una piattaforma petrolifera non adeguatamente controllata.

“Più ancora, basterebbe ricordare le complicatissime tecniche di allocazione del rischio ideate da petrolieri ed armatori e le tante leggi che praticamente esentano i petrolieri dalla copertura del rischio. O, per meglio dire, trasferiscono, con tanto di dito medio esteso, la copertura del rischio in capo allo Stato (!).

“Per fornire, tuttavia, al cortese Lettore almeno qualche dato numerico, copio quello che nel 1990 i proff. Bilardo e Mureddu hanno scritto al proposito delle “perdite di greggio dovute a incidenti occorsi alle petroliere, nel bacino mediterraneo”:

Per quanto riguarda le perdite di greggio dovute a incidenti occorsi alle petroliere, nel bacino mediterraneo è stato immesso mediamente, negli ultimi 5 lustri, il 6,6% dei versamenti mondiali annui; se si prendono come riferimento i dati assoluti annui mondiali, una percentuale del 6,6% corrisponde grosso modo a 20.000-33.000 T di greggio l’anno. Utilizzando i parametri dell’incidenza dei trasporti marittimi sul totale dell’inquinamento petrolifero (tale incidenza oscilla tra il 14% e il 6,6%), una stima molto approssimativa e elastica degli oil spills complessivi nel Mediterraneo, può oscillare tra le 30.000 e le 236.000 T. annue: riferendoci ad un coefficiente intermedio abbastanza attendibile (43% dell’Accademia delle Scienze Americana), il ventaglio andrebbe dalle 47.000 alle 77.000 T. annue. Stime effettuate da altri autori si riferiscono a valori molto più elevati. Ce n’è abbastanza per essere allarmati: è come se ogni anno si verificasse nel Mediterraneo un incidente di proporzioni disastrose, anche se per così dire “diluito” in tutto il bacino. (Per le fonti si veda U. Bilardo, G. Mureddu, Le maree nere nel Mediterraneo – Rischio ambientale, implicazioni economiche e possibile ruolo della cooperazione regionale, ISPI, Milano, 1990).

Capito, allora, carissimo Salvini e carissimo Di Maio, perché è necessario condizionare le discusse licenze di costruzione delle trivelle a severissime norme di costruzione e ad una ancora più stretta sorveglianza tanto in fase di costruzione quanto in fase di gestione? E perché bisogna comunque imporre ai petrolieri di dotarsi anche della migliore capacità di contenere e ridurre gli inquinamenti che, statisticamente parlando, queste trivelle possono produrre?